venerdì 31 luglio 2020

L’attore, la verità e la storia

Jean-Jaques Dessalins

Sto leggendo in questi giorni “Lezioni di regia” di Sergej M. Ejzenstejn (l’autore de “La corazzata Potemkim”). Nel corso delle lezioni, al capitolo “La messa in scena” si prende come esempio la fuga dal tranello mortale di Jean-Jaques Dessalins, generale haitiano dell’esercito francese del diciottesimo secolo. Nella descrizione sommaria del contesto egli viene descritto come un eroe che riscatta il suo popolo dalla schiavitù francese. Non dimentichiamo che siamo in Unione Sovietica sotto Stalin, in un tempo in cui il concetto di “rivoluzione” era associato ad una visione glorificante dell’insurrezione come trionfo delle masse oppresse sugli oppressori, non a caso la Rivoluzione francese viene definita “Rivoluzione borghese” e se ne evidenzia la natura tutt’altro che proletaria.

Nel testo il focus però è l’insieme dei ragionamenti sulla migliore disposizione della scena per offrire la giusta lettura del contesto allo spettatore, per cui non vi è un approfondimento dei fatti storici. Incuriosito, depongo il libro e vado a cercare informazioni su Dessalins e m’imbatto in una serie di testi in diverse lingue che parlano delle atrocità commesse dal generale francese che condusse Haiti all’indipendenza, seppure alternata fra diverse vicissitudini. Quella che emerge è una figura sanguinaria, altro che eroe! Fra torture, stupri e massacri di bianchi, anche antischiavisti, e di neri sospettati di connivenze coi francesi, che dal canto loro non erano stati particolarmente teneri (anzi!) con gli isolani tenendone l’80% della popolazione autoctona in schiavitù attraverso il latifondismo, fra gennaio e maggio del 1806 si perpetrò un genocidio di un numero di vittime che va dalle 3000 alle 5000 unità. 

Non entro nell’analisi storica degli eventi haitiani, sia perché non li conosco se non superficialmente, attraverso letture reperite in Rete, sia perché non è mio compito esprimere giudizi storici. In questo contesto mi occupo di teatro. Resto però impressionato dalla forza della propaganda: fino a che non sono andato a cercare informazioni sul personaggio avevo un’impressione positiva di Dessalins, finché l’approfondimento non mi ha dato una visione più concreta, fredda, dolorosa che mette in discussione tutto quello che fino a questo punto ho letto, sebbene il tema sia la messa in scena.

Ecco perché è importante contestualizzare e perché è necessario condurre indagini storiche prima di affrontare un testo e allestire una rappresentazione. Gli attori in scena, se sanno certi fatti, assumono un atteggiamento diverso nell’interpretazione, impostano una caratterizzazione conseguente dei personaggi che attraverso la consapevolezza, soprattutto quando essa è dolorosa, conferisce verità alla recitazione.

venerdì 24 luglio 2020

L'arte che non esiste

Il teatro è l'arte che non esiste, è quell'opera d'arte che esiste nel momento in cui si manifesta e poi non c'è più. Anche se ci sono le repliche, saranno differenti, cambia sempre qualcosa: "L'ultimo giorno" che ha attraversato quattro repliche, lo abbiamo cambiato ogni volta e chi lo ha visto la prima, di fronte all'ultima era davanti ad un nuovo spettacolo, stesso soggetto ma cambiava il testo, cambiava la scena, le musiche, i dipinti che facevano la scenografia.

È diverso da un dipinto, l'incoronazione di Napoleone del David c'era 200 anni fa e c'è tutt'ora al Louvre, quando voglio posso vederlo: l'opera è lì davanti a me. Semmai esiste la letteratura teatrale che però è altra cosa rispetto alla recitazione, allo spettacolo, alla rappresentazione.

Questo porta ad una riflessione, in questo tempo fatto di tecnologia sempre più estrema, la presenza dello spettacolo è offerta dalla fotografia, dal video, dall'immagine. Essa è documentazione, non solo per la futura memoria ma anche e soprattutto per chi non c'era, per chi vorrebbe saperne di più e dunque l'immagine (io amo soprattutto quella fotografica) restituisce la verità scenica, l'attore non è necessariamente bello nella foto di scena, ma è reale, è la verità del personaggio, è la sua intensità, è l'espressione più alta della drammaturgia.

Certo, se una foto è brutta è brutta, ma cos'è una foto brutta? È uno scatto riuscito male, che non ci sta con gli equilibri, che non restituisce la "verità" scenica, non parla della storia, non trasmette emozione.
Dunque le foto migliori in scena non sono quelle in cui siamo tutti bei damerini ma quelle in cui emerge tutta l'intensità e il conflitto del personaggio, della narrazione, dell'insieme.

Quando saliamo sul palco non preoccupiamoci di essere belli, ma di essere veri.
Anche se non sempre la verità è bella.