L’11 gennaio 2014 morì Arnoldo Foà.
Uno dei più grandi attori di tutti i tempi, la sua inconfondibile voce e il suo ammirevole garbo sono i tratti distintivi che più lo hanno reso indelebile nella memoria di generazioni di italiani e non solo.
Dalla sua “Autobiografia di un artista burbero” edita da Sellerio, fra le tante cose interessanti, ne ho colta una inquietante: Arnoldo Foà soffriva di emicrania anche fino a tre volte alla settimana.
Conosco quel dolore che per anni ha irritato e accompagnato anche me, e non oso immaginare cosa potesse significare stare in scena con quel tormento e dare lo stesso il meglio di sé esprimendo sempre talento e bravura.
La lezione che colgo da questo fatto è che quando si dice “the show must go on” si sta facendo un grande gesto d’amore verso il palcoscenico, verso lo spettatore, verso le proprie emozioni, verso sé stessi.
Per questo il teatro è educativo, formativo e responsabilizzante, in questi giorni in cui si aprono le porte di tanti corsi di teatro andiamoci, frequentiamone uno, impariamo a conoscere le emozioni, il dolore, i sentimenti poiché recitare significa vivere le emozioni del personaggio e condividerle col pubblico. Non importa se non saliremo mai su un palco, quello che conta è vivere l’esperienza per arrivarci.
sabato 28 settembre 2019
domenica 8 settembre 2019
Ridere!
Ci sono però due tipi di risata: ridere con e ridere di.
Quando si ride con si crea una condivisione, si partecipa, si rende merito ad una situazione comica scaturita magari dall'avvertimento del contrario di pirandelliana memoria, e di fatto la risata diventa una festa collettiva.
Non è sempre una cosa negativa la risata di, a volte consente di evidenziare contraddizioni, falsità o meschinità e ipocrisie, ma sovente tende ad essere provocazione, umiliazione, svalutazione (pensiamo al bullismo).
In scena spesso si ride di, ma è un ridere consapevole anzitutto di una finzione scenica e in secondo luogo di comportamenti e atteggiamenti grotteschi o discutibili. La risata prodotta da Dario Fo in "Mistero buffo" è sì un ridere di ma non di Dio (sul cui rapporto è illuminante il libro "Dario e Dio") ma delle contraddizioni e delle ipocrisie della religione, della Chiesa, del suo bigottismo e delle sue meschinità, in ultima analisi, la risata di "Mistero buffo" è la risata dell'uomo e delle sue debolezze, del fare il verso alle contraddizioni e ai miseri tentativi maldestri di elevazione a qualcosa che si conosce meno di quanto si vuol far credere.
Il ridere del pubblico è sempre un ridere con gli attori, è una forma di complicità fra palcoscenico e platea, fra chi recita e chi assiste. Si crea durante la risata una forma di complicità che coinvolge entrambi i protagonisti in sala: pubblico e attori, e in ultima analisi anche il regista. Semmai tutti insieme ridono di qualcosa qualcuno che li unisce in una condanna, anche perché Molière sosteneva che far ridere è lo strumento politico più efficace poiché la gente ride quando ha ragionato su ciò che ha sentito.
Anche per questo l'attore sul palco vive una profonda gratifica quando sente la risata del pubblico poiché essa, a differenza dell'applauso che è una forma di approvazione, è l'espressione della complicità e della condivisione, qualcosa che va oltre l'ammirazione, qualcosa che conferma che si sta recitando bene.
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