domenica 14 luglio 2019

L'ombra di un gigante

Toni Bertorelli
Foto: La Repubblica 26/5/2017
Toni Bertorelli è mancato nel maggio 2017.
Ai più il suo nome dice poco ma è stato uno dei più grandi attori italiani di tutti i tempi oltre che regista e autore. Per avere un'idea della sua grandezza basti pensare ai registi con cui ha lavorato: Nanni Moretti, Mel Gibson, Marco Bellocchio, Edmo Fenoglio ottenendo riconoscimenti di altissimo livello. Diresse Franca Valeri e adattò a musical un'opera di Sheridan, scrisse anche un romanzo sul jazz a Torino.
Per chi volesse approfondirne la conoscenza (tempo ben speso), suggerisco di visitare il profilo su Wikipedia.

Una sua peculiarità fu quella di essere spesso premiato, riconosciuto e assegnato a ruoli di attore non protagonista pur essendo bravissimo. Il suo volto di caratterista e la sua recitazione asciutta, concreta e intensa non lo resero celebre come avrebbe meritato. Eppure senza di lui capolavori come "Le parole di mio padre", "L'ora di religione", "Luce dei miei occhi", per citarne alcuni, non avrebbero avuto la stessa incisività, anche perché un buon regista sa che per una parte ci vuole uno specifico attore e raramente accontentarsi di un sostituto di chi si era immaginato durante la sceneggiatura produce lo stesso effetto.

Ecco, Toni Bertorelli era un attore che viveva nell'ombra del firmamento artistico, ma ci sono ombre che nella loro immensità insegnano molto più di stelle effimere che dopo una luce abbagliante non lasciano molto del loro brillare.

martedì 2 luglio 2019

Lo sforzo del teatro

Scrivere a quattro mani è complicato.
Con Patrizia Tasinato siamo alla seconda stesura di un testo teatrale che porteremo in scena nella seconda metà della prossima stagione per la regia di Gian Carlo Fantò. Ne seguiranno altre, rivisitazioni e rimaneggiamenti necessari per offrire un testo credibile e, questa volta, divertente.

La cosa bella è il gesto creativo, ma anche il lavorio di cesello sulle battute, sulle parole, sugli equilibri dei dialoghi, di scena e controscena, sulla profondità più o meno grande della narrazione. Ma soprattutto la cosa bella è fermarsi davanti allo spettatore e decidere che la tale battuta non deve essere esplicita, ma deve essere indotta, lo spettatore deve arrivarci di suo, altrimenti si annoia.

La noia.
Il più temibile nemico con cui un autore deve fare i conti. In teatro la noia arriva quando tutto è scontato, non serve alcuno sforzo, la storia si dipana spiegando tutto e appiattendo ogni cosa su un didascalismo che sottrae allo spettatore il piacere di intuire, di farsi una sua storia sui detti e non detti in scena.

Ci vuole lo sforzo non solo dell’attore in scena, ma anche del pubblico in sala, lo sforzo di capire, di andare oltre l’evidente, di fare quel passaggio che comporta una scoperta, una rivelazione, un’intuizione in chi assiste e che è gratificato dal comprendere.

Dunque ci vuole uno sforzo da parte di chi scrive per generare tutto questo, poiché come diceva Louis Jouvet, “una cosa ottenuta senza sforzo non è buona”.