martedì 2 luglio 2019

Lo sforzo del teatro

Scrivere a quattro mani è complicato.
Con Patrizia Tasinato siamo alla seconda stesura di un testo teatrale che porteremo in scena nella seconda metà della prossima stagione per la regia di Gian Carlo Fantò. Ne seguiranno altre, rivisitazioni e rimaneggiamenti necessari per offrire un testo credibile e, questa volta, divertente.

La cosa bella è il gesto creativo, ma anche il lavorio di cesello sulle battute, sulle parole, sugli equilibri dei dialoghi, di scena e controscena, sulla profondità più o meno grande della narrazione. Ma soprattutto la cosa bella è fermarsi davanti allo spettatore e decidere che la tale battuta non deve essere esplicita, ma deve essere indotta, lo spettatore deve arrivarci di suo, altrimenti si annoia.

La noia.
Il più temibile nemico con cui un autore deve fare i conti. In teatro la noia arriva quando tutto è scontato, non serve alcuno sforzo, la storia si dipana spiegando tutto e appiattendo ogni cosa su un didascalismo che sottrae allo spettatore il piacere di intuire, di farsi una sua storia sui detti e non detti in scena.

Ci vuole lo sforzo non solo dell’attore in scena, ma anche del pubblico in sala, lo sforzo di capire, di andare oltre l’evidente, di fare quel passaggio che comporta una scoperta, una rivelazione, un’intuizione in chi assiste e che è gratificato dal comprendere.

Dunque ci vuole uno sforzo da parte di chi scrive per generare tutto questo, poiché come diceva Louis Jouvet, “una cosa ottenuta senza sforzo non è buona”.