mercoledì 5 giugno 2019

Guardami negli occhi!

dall'alto in basso particolari di:
"Old man" (Laura Musikanski)
"L'ultimo giorno - III° atto" (Maura Scalenghe)
"L'ultimo giorno" (Rosa Gattuso)
Si parla anzitutto con gli occhi. Questa visione analogica della comunicazione umana è più forte che mai nel teatro. Lo spettatore non può fare a meno di osservare gli occhi dei personaggi, e sebbene siano piccolissimi, occupano infatti meno dell'uno per cento della scena, hanno un peso che va ben oltre la metà di tutto il lavoro di sceneggiatura, movimento del corpo, della voce, del testo, della recitazione stessa. Non è un caso che il vecchio principe Bolkonsky del grande romanzo storico "Guerra e Pace" venisse descritto da Leone Tolstoij come un uomo che rideva solo con gli occhi.
Anzi, gli occhi sono parte della recitazione e ne determinano spesso il successo o l'insuccesso. Difficile mentire con gli occhi. Penso per esempio ad Arnoldo Foà che nella sua autobiografia ammette di aver sofferto di mal di testa anche tre volte alla settimana.
Ebbene la grandezza di un attore sta anche in questa capacità di dissimulare il dolore, gli occhi non mentono e se una persona soffre, gli occhi sono i primi a dircelo. Essere gioiosi, allegri o arrabbiati, determinati o incerti quando il dolore indurrebbe ad un silenzio, ad una compostezza, al riposo e non far trasparire quell'anelito di fuga da un male che a volte è atroce è il talento vero e profondo di un attore, è la sua essenza, il suo essere altro, essere un altro.
Ecco. Essere attori significa essere altri anche quando si soffre pure fisicamente, ma come diceva sempre il grande Arnoldo Foà: anzitutto bisogna essere.